Gaza nel caos: evacuazione impossibile e umanità in pericolo

In un clima di devastazione crescente, l’annuncio israeliano di evacuare la popolazione di Gaza City ha scatenato un allarme senza precedenti tra le organizzazioni umanitarie. Dopo quasi due anni di conflitto ininterrotto, la città è diventata teatro di una nuova fase drammatica, con ordini di evacuazione definiti «inattuabili» e il rischio concreto di un ulteriore collasso degli aiuti internazionali.
La Croce Rossa pone un altolà: «Evacuazione impossibile»
La presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa ha lanciato un messaggio inequivocabile: un’evacuazione di massa da Gaza non può essere né sicura né dignitosa. L’emergenza umanitaria — fame, mancanza d’acqua, ospedali ridotti allo stremo — rende inefficaci e rischiose le istruzioni ufficiali. Molti non possono neppure muoversi: afflitti da malattie, ferite o debilitati dalla denutrizione, restano intrappolati in una città che ha perso la sua rete di sostegno e comunicazione.
Diminuzione degli aiuti: il silenzio delle strade
Parallelamente all’offensiva militare, Israele ha annunciato l’imminente sospensione o drastica riduzione degli aiuti nel nord della Striscia. Le operazioni di lancio aereo sono state interrotte, i camion carichi di cibo e medicine hanno subito un rallentamento o sono stati fermati. Queste decisioni arrivano in un momento disperato, quando la fame è già dilagante e le strutture sanitarie si trovano in condizioni di collasso.
Scene di fuga disperata e disperazione crescente
Migliaia di persone cercano di spostarsi portando con sé quel poco che è rimasto: auto sovraccariche, carrette trainate da animali, oppure a piedi lungo strade polverose piene di macerie. Le statistiche parlano di decine di migliaia di civili già evacuati, ma le zone di destinazione — anch’esse carenti di risorse e rifugi — sollevano forti dubbi sulla capacità di accoglienza.
Molti descrivono la città come “invivibile”: senza assistenza, senza accesso a beni primari, senza nemmeno la possibilità di documentare la propria condizione.
Evacuazione o trasferimento forzato?
Osservatori internazionali avvertono: questa “evacuazione” rischia di configurarsi come un trasferimento forzato, punibile secondo le Convenzioni di Ginevra come crimine di guerra. Le preoccupazioni crescono intorno alla possibilità che l’operazione, anziché garantire sicurezza, diventi uno strumento di ingegneria demografica, con l’effetto di spostare la popolazione civile da aree strategiche attraverso la coercizione.
Numerosi ospedali del nord sono stati distrutti o costretti alla chiusura, compresi quelli designati come rifugi sicuri. Il trasferimento di pazienti in stato critico è logisticamente impossibile: mancano le incubatrici, i respiratori e i posti in terapia intensiva nelle strutture del sud, già sovraccariche di feriti e sfollati.
Guerra lunga e numeri drammatici
Dal 7 ottobre 2023, il conflitto ha già causato oltre 63.000 vittime palestinesi — in gran parte civili, tra cui un numero altissimo di donne e bambini. L’evacuazione programmata coincide con un’escalation devastante nel cuore urbano, aggravata da fame acuta e dalla distruzione totale delle infrastrutture.
Oltre 1,9 milioni di persone sono state costrette allo sfollamento in meno di due anni, un dato che rappresenta la quasi totalità della popolazione della Striscia.
Il diritto internazionale è chiaro: chi ordina un’evacuazione ha l’obbligo di garantire protezione ai civili. Ma con infrastrutture distrutte e risorse inesistenti, la promessa di sicurezza si è trasformata in un paradosso crudele. Condurre una popolazione già vulnerabile verso aree altrettanto pericolose o prive di assistenza non significa rispettare le leggi umanitarie: significa ribaltarle.
L’equazione è brutale: guerra prolungata, disposizioni militari, fame e dispersione sociale. La proposta israeliana di un’evacuazione “ordinata” si è rivelata una bugia tragica. Non è soltanto inattuabile: è disumana. La comunità internazionale, già testimone della decimazione di Gaza, si trova di fronte a un bivio morale.
Il futuro degli ultimi civili rimasti sulla linea del fronte — anziani, malati, bambini — dipenderà da una sola cosa: il riconoscimento del diritto alla vita, senza sconti o secondi fini politici.
© RIPRODUZIONE RISERVATA