Tesori Cambriani nel Grand Canyon

Micro-fossili sorprendenti rivelano un ecosistema marino inesplorato
Nel cuore del Grand Canyon è emersa una scoperta straordinaria: micro-fossili di molluschi, crostacei e un nuovo verme priapulide dotato di un bizzarro apparato boccale. Questi reperti, risalenti a circa 500 milioni di anni fa, suggeriscono che l‘area sia stata una “zona d’oro”, ideale per esperimenti evolutivi, offrendo una finestra unica sull’esplosione della vita nel Cambriano.
Un mare di innovazione nascosta nella roccia
In una spedizione del 2023, condotta lungo il Colorado con base nel Grand Canyon, un team dell’Università di Cambridge ha raccolto campioni rocciosi dalla Bright Angel Formation. Attraverso un processo delicato di dissoluzione con acido fluoridrico e successiva setacciatura, sono emersi migliaia di micro-fossili.
Creature con strategie alimentari da alta tecnologia
L’analisi dei fossili ha portato alla luce organismi dotati di sofisticati adattamenti per nutrirsi:
Crostacei simili ad artemie, dotati di arti pelosi utilizzati come “nastri trasportatori” per convogliare il cibo verso la bocca, che presentava denti molariformi riducenti.
Molluschi simili a lumache, dotati di catene di denti per raschiare alghe o batteri da superfici rocciose, analogamente a quelli moderni.
Kraytdraco spectatus: il verme più bizzarro di sempre
La scoperta più eccezionale è un nuovo priapulide, chiamato Kraytdraco spectatus, un organismo marino estinto comunemente noto anche come “verme pene”. Questo verme misurava tra i 15 e i 20 cm di lunghezza — decisamente più grande rispetto ai suoi parenti moderni, che raramente superano i pochi millimetri.
Il suo apparato boccale era altrettanto sorprendente: una faringe retrattile innestata in un meccanismo che si invertiva come un guanto capovolto, dotato di anelli di denti affilati esterni e interni dalla forma piumata, usati probabilmente per raschiare e filtrare alimento dai sedimenti.
Un ambiente perfetto per la vita e l’innovazione
Il Grand Canyon di allora, situato vicino all’equatore, era coperto da un mare caldo, poco profondo ma ricco di ossigeno: l’ambiente ideale per la fotosintesi, nutriente per la vita e nello stesso tempo protetto dalle perturbazioni superficiali.
Una combinazione che alimentava una vera e propria “corsa evolutiva” verso l’innovazione — strategie complesse che organismi in ambienti poveri non avrebbero potuto permettersi.
Questa scoperta rappresenta il ritrovamento più antico e ben conservato di animali nel Grand Canyon, offrendo nuovi sguardi sugli ecosistemi cambriani.
L’eccezionalità della preservazione e le forme biologiche individuate gettano nuova luce sulla varietà della vita primordiale, suggerendo che l’area fosse una culla dell’evoluzione.
Imparare dal passato remoto: economia e biologia a confronto
Giovanni Mussini, primo autore dello studio, propone un interessante parallelo tra l’evoluzione e l’economia: in ambienti abbondanti, si può osare con investimenti rischiosi, proprio come queste antiche creature con apparati alimentari elaborati.
Uno sguardo al futuro della paleontologia nel Grand Canyon
Oltre al verme priapulide, i fossili di crostacei e molluschi, insieme ai segni fossili di movimenti, scavamenti e alimentazione, delineano una comunità marina complessa mai vista prima in quest’area.
È probabile che questi ritrovamenti siano solo la punta dell’iceberg di un ecosistema ricco di ulteriori sorprese, che la ricerca futura potrà esplorare con tecniche ancora più avanzate.
I fossili del Grand Canyon riscrivono parte della storia dell’evoluzione animale: un mare antico, ricco e sorprendente, dove piccoli organismi sviluppavano apparati complessi e sofisticati. Kraytdraco spectatus e compagni dimostrano come l’abbondanza ambientale possa catalizzare l’innovazione biologica, offrendo oggi un affascinante e prezioso racconto del nostro lontano passato.
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