“CopyCat”: il gatto impagliato che scuote il MAMbo e l’etica dell’arte contemporanea

L’opera, la controversia e quel corpo su cui fare copie
Al Museo d’Arte Moderna di Bologna, noto come MAMbo, una bizzarra e controversa installazione sta facendo discutere: un gatto impagliato, posto su una fotocopiatrice, si presta alla riproduzione in formato cartaceo da parte dei visitatori. È “CopyCat”, opera dei celebri artisti Eva & Franco Mattes, inserita nella mostra Facile ironia. L’ironia nell’arte italiana tra XX e XXI secolo, in programma fino al 7 settembre. Non solo il felino, ma anche decine di colombi imbalsamati (firmati da Maurizio Cattelan) animano il dibattito sull’uso dei corpi animali nell’arte contemporanea.
Animalisti in rivolta: arte o violenza estetizzata?
La reazione è arrivata immediata e feroce da parte della LAV (Lega Anti Vivisezione). Il presidente Gianluca Felicetti ha parlato di “violenza estetizzata”, definendo l’opera una “grottesca mancanza di empatia”. L’esposizione di cadaveri animali come oggetti ironici, ha ribadito la LAV, non è arte, ma un insulto alla dignità degli esseri viventi. Non contenti, hanno lanciato un appello diretto al sindaco di Bologna perché disponga la rimozione delle spoglie animali, e invitano la cittadinanza a boicottare la mostra.
La responsabile della LAV Bologna, Annalisa Amadori, ha definito la scelta artistica un affronto alla vita, esortando a fermare questa spettacolarizzazione della morte.
In difesa dell’opera si è mosso il direttore del MAMbo, Lorenzo Balbi, che ha chiarito come nessun animale sia stato ucciso per l’installazione: il gatto, un randagio, era già morto in un incidente ed è stato donato da una clinica veterinaria; la tassidermia è avvenuta nel rispetto di tutte le normative vigenti. L’opera, ha spiegato Balbi, incarna una riflessione sull’autenticità, la riproducibilità e la natura stessa dell’arte in epoca digitale, inserendosi nella tradizione provocatoria dell’arte concettuale.
La polemica ha superato i confini del museo. La capogruppo regionale Marta Evangelisti (Fratelli d’Italia) ha depositato un’interrogazione in Regione, chiedendo l’introduzione di linee guida chiare sull’utilizzo di resti animali in contesti espositivi pubblici. Una richiesta che unisce sensibilità civica, etica e responsabilità istituzionale.
Il dibattito si allarga a questioni centrali sul rapporto tra arte, diritto e moralità. La tassidermia è pratica antica e normata; l’uso di resti animali in esposizioni è consentito, purché gli animali non siano stati maltrattati o uccisi per lo scopo artistico. Ma rende davvero rispettosa la morte utilizzarla come provocazione? Quanto può spingersi un’idea artistica prima di infrangere il confine dell’offesa?
In contesti internazionali, Paul McCarthy ha spesso stimolato polemiche per l’uso di materiali scioccanti, intrecciando critica sociale e iconoclastia visiva.
Lo spettatore al bivio del suo stesso gesto
L’ironia di “CopyCat” scatta nel gesto: il visitatore protagonista diventa fautore della riproduzione di un cadavere, generando non solo immagine, ma partecipazione nel processo artistico. È questo cortocircuito che rende l’opera potente – o insopportabile – secondo il punto di vista dello spettatore. Arte viva, sì, ma su un terreno eticamente instabile.
L’arte deve provocare, ma fino a che punto?
Il caso “CopyCat” rimette in gioco una domanda attuale: può l’arte sconfinare nella provocazione estrema senza tradire l’etica? Il MAMbo ha scelto di spingere i propri confini, proponendo un’installazione che scuote e divide. La LAV ha chiesto rispetto per la vita. Le istituzioni stanno cercando un equilibrio fra libertà espressiva e sensibilità collettiva.
Il risultato? Un’opera che genera dibattito, emarginazione o apertura critica. Siamo alla periferia dell’arte oppure al centro della sua necessaria controversia?
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