Gaza City sotto assedio, ostaggi ancora nel limbo

Le operazioni militari a Gaza City entrano in una nuova fase. Netanyahu autorizza un’offensiva su vasta scala, mentre le trattative per la liberazione degli ostaggi proseguono tra pressioni internazionali e rischi crescenti. La crisi umanitaria si aggrava, la fame avanza e le condizioni sulla terra sono catastrofiche.
Offensiva militare su due binari: guerra e diplomazia
Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha approvato una massiccia operazione militare finalizzata alla conquista di Gaza City, mentre allo stesso tempo ha autorizzato la ripresa dei negoziati per la liberazione degli ostaggi.
Questa strategia “dual track” riflette la volontà di esercitare una pressione militare decisa, ma mantenendo aperta la porta al dialogo. La mobilitazione include circa 60.000 riservisti e attacchi intensificati nei quartieri periferici come Zeitoun e Jabaliya.
Al contempo, mediatori egiziani e qatarioti propongono un cessate il fuoco di 60 giorni in cambio del rilascio parziale di ostaggi e prigionieri, supportato da una recessione militare israeliana in aree centrali della Striscia. Ma Israele non ha ancora formalizzato un accordo.
Le parole del ministro della Difesa israeliano sono un avvertimento grave: “Gaza City rischia una distruzione totale” se Hamas non accetterà condizioni stringenti, inclusa la consegna di tutti i prigionieri e lo smantellamento della rete armata islamista.
Tali mosse scatenano allarmismo internazionale: l’ONU e la Croce Rossa denunciano l’indebolimento delle garanzie di protezione per i civili, mentre il sistema sanitario di Gaza vacilla.
Gli ostaggi: uno scambio sospeso tra speranza e impasse
La proposta di tregua — che prevede lo scambio di oltre la metà degli ostaggi rimasti ancora in mano a Hamas per prigionieri palestinesi — è stata accettata da Hamas, ma resta in stand-by. Israele continua a insistere sulla liberazione totale dei circa 50 ostaggi ancora presenti nella Striscia, circa 20 dei quali sono considerati vivi.
Secondo dati recenti, più di 148 ostaggi sono già stati liberati nel corso del conflitto, ma una parte significativa rimane bloccata in condizioni disperate.
La tensione cresce: famiglie, mediatori e attori internazionali fanno pressione affinché l’accordo si concretizzi prima che l’offensiva peggiori ulteriormente il quadro già drammatico.
Fame, sfollamento, disperazione
La fame ha ormai raggiunto livelli catastrofici: oltre mezzo milione di persone rischia la carestia, mentre sul terreno si registrano distruzioni estese, ospedali al collasso e sfollamenti di massa.
Nei quartieri sotto attacco, la mancanza di aiuti, medicine e accesso all’acqua potabile amplifica ogni giorno la crisi. Organizzazioni umanitarie lanciano appelli disperati per rotte sicure di accesso e protezione dei civili e dei corpi sanitari rimasti attivi.
Governo israeliano sotto pressione interna e diplomatica
All’interno di Israele, la chiamata alle armi genera tensioni significative: alcuni gruppi, tra cui gli ebrei ultraortodossi, si oppongono all’arruolamento obbligatorio. I soldati riservisti e le loro famiglie denunciano stress diffuso e difficoltà crescenti.
All’estero, partner come Germania, Regno Unito e Stati Uniti chiedono accesso mediatico a Gaza, garanzie per i giornalisti e pressioni sull’uso della forza, aumentando l’isolamento politico di Netanyahu.
Fra tempesta bellica e fragile speranza
Il conflitto entra in una fase determinante: l’offensiva militare convive con le speranze di una tregua, mentre la diplomazia naviga tra condizioni rigide e crisi umanitarie estreme. La partita in gioco è duplice: il futuro degli ostaggi e la possibilità di un cessate il fuoco presente. Ma finché Gaza rimarrà distrutta, la pace rimarrà una prospettiva fragile.
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