Aurora Ramazzotti e la tutela oltre lo sguardo: perché non pubblico le foto di mio figlio

Un gesto personale diventa simbolo di un tema attuale: proteggere i più piccoli in un mondo sempre connesso è una scelta culturale e etica.
La recente scelta di Aurora Ramazzotti di non pubblicare le foto del suo bambino su Instagram ha acceso un dibattito più ampio: qual è il confine tra il desiderio naturale di condividere la gioia della genitorialità e la responsabilità di tutelare la vita privata di un minore?
È un gesto profondamente intimo, quello di Aurora, e al tempo stesso carico di significato pubblico. Nella sua decisione si riflette una consapevolezza crescente tra i genitori in vista della pervasività del mondo digitale: tanti scelgono di non “mostrare” i loro figli per proteggerli, non per protagonismo.
Un gesto di amore, non di vanità
Quando una madre o un padre scrive «preferisco proteggerlo, non creare un’immagine che non gli appartiene» esprime qualcosa di profondo. L’infanzia è un diritto, più che uno stato temporaneo: tutelarla significa permettere ai bambini di crescere senza diventare riflesso estemporaneo dei desideri altrui.
I rischi del “sharenting”
Il neologismo “sharenting” va oltre il puro desiderio di mostrare: descrive la diffusione online di dettagli personali dei figli, spesso senza consapevolezza dei rischi associati. Identità sottratte, immagini riutilizzate senza controllo, violazioni della privacy: il semplice gesto di condividere una foto può trasformarsi in un granello di sabbia in una valanga di conseguenze digitali.
Celebrità in difesa della privacy infantile
Non è solo Aurora: molte altre figure pubbliche hanno adottato scelte simili, a volte spinte anche da misure concrete.
Ad esempio, Amal e George Clooney hanno introdotto “il cesto dei telefoni”: una regola ferrea che chiede ai visitatori di lasciare i dispositivi all’ingresso per non rischiare che foto intime escano dalla regola della casa. Non è spettacolarità, è cura.
Jennifer Garner ha dato voce alla necessità di una normativa, arrivando a testimoniare a favore di una legge in California che protegge i figli delle celebrità dai paparazzi, rendendo penalmente perseguibile l’inseguimento o la fotografia senza consenso.
Anche mamme come Gigi Hadid o Blake Lively hanno chiesto rispetto: una richiesta di dignità, non di esclusione.
Normative e diritti protetti
Da anni vari ordinamenti si confrontano con questo tema. In California, divieti specifici proteggono i minori dallo “stalking fotografico”. In alcune parti del mondo (come a Dubai), contravvenire a limiti sulla privacy ha ripercussioni legali reali. Intanto, in Gran Bretagna, sentenze hanno ribadito che riprendere i figli di celebrità senza consenso può costare caro, non solo in termini d’immagine.
Il concetto si amplia: i bambini non sono “oggetti d’interesse” culturalmente ammissibili per spremerne l’immagine. Hanno diritti, e tra questi la riservatezza.
Un modello da seguire
Nel nostro tempo, distinguersi per non mostrare può diventare simbolo educativo: l’esempio di Aurora ha un significato sociale profondo. È una risposta consapevole alla cultura dell’esposizione. È la volontà di lasciare che il proprio figlio decida quando e come mostrarsi.
Scegliere di non pubblicare i volti o le immagini dei propri figli non significa negarne l’autenticità ma rispettarla. È una testimonianza alta: in un’epoca in cui tutto è visibile, riservare l’infanzia dalle luci dei social potrebbe raccontarci un futuro più consapevole.
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