Conflitto Israele–Hamas: tra assedio, mobilitazione e tentativi di tregua

La nuova offensiva israeliana verso Gaza City segna un’escalation del conflitto: mobilitazione massiccia di riservisti, intensificazione dei raid aerei e avanzata militare. Nel frattempo, emergono proposte di tregua temporanea con il rilascio di parte degli ostaggi, ma la crisi umanitaria peggiora drammaticamente. Tra appelli internazionali e accuse di crimini di guerra, il conflitto resta intrappolato tra la logica delle armi e il fragile tentativo di un compromesso politico.
Verso la presa di Gaza City
Israele ha lanciato la “prima fase” di una nuova operazione militare diretta contro Gaza City. Sono stati mobilitati 60.000 riservisti, che si aggiungono a circa 20.000 soldati già attivi sul terreno, con l’obiettivo di completare l’assedio urbano. La città, che ospita quasi metà della popolazione dell’enclave, rappresenta il cuore simbolico e strategico del conflitto.
I caccia israeliani hanno intensificato i bombardamenti nei sobborghi, mentre l’esercito ha invitato i civili a evacuare verso sud. Tuttavia, le aree indicate come “sicure” sono già sovraffollate e prive di risorse, rendendo gli spostamenti un nuovo dramma umanitario.
Una finestra per la pace? Hamas accetta una tregua temporanea
Parallelamente all’offensiva, Hamas ha accettato una proposta di tregua di 60 giorni, mediata da attori regionali. In cambio, è previsto il rilascio di circa metà degli ostaggi ancora in vita, insieme alla restituzione dei corpi di altri, a fronte della liberazione di un numero consistente di prigionieri palestinesi detenuti da Israele.
Nonostante l’apertura, il governo israeliano non ha ancora formalizzato la propria adesione. La leadership politica rimane divisa tra le pressioni interne — con un’opinione pubblica segnata dalla rabbia e dalla paura — e quelle internazionali, che chiedono di aprire uno spiraglio verso la pace.
Evacuazioni, fame e distruzione
L’avanzata su Gaza City ha innescato nuove ondate di sfollamenti: migliaia di civili hanno lasciato le proprie case per dirigersi verso le regioni occidentali e meridionali della Striscia. Secondo stime delle organizzazioni umanitarie, oltre 1,3 milioni di persone necessitano urgentemente di rifugio, ma gli aiuti internazionali arrivano con lentezza e in quantità insufficiente.
Il bilancio delle vittime palestinesi ha superato le 62.000 persone, in gran parte donne e bambini. Interi quartieri sono stati cancellati dai bombardamenti, ospedali e scuole ridotti in macerie, infrastrutture civili distrutte in maniera irreparabile. La vita quotidiana è ormai impossibile: mancano acqua potabile, elettricità, medicinali e cibo, trasformando Gaza in un teatro di emergenza permanente.
Appelli disperati e accuse di crimini
La comunità internazionale ha intensificato le richieste di cessate il fuoco, sottolineando come la fame e la privazione siano ormai usate come strumenti di guerra. Diversi organismi multilaterali hanno denunciato pubblicamente il rischio che la popolazione civile venga colpita in maniera sproporzionata e indiscriminata.
Parallelamente, corti e commissioni internazionali stanno valutando l’apertura di inchieste per possibili crimini di guerra e violazioni dei diritti umani. Israele, dal canto suo, respinge le accuse, rivendicando il diritto alla difesa e l’obiettivo di smantellare le infrastrutture militari di Hamas.
Un conflitto senza tregua
In evidenza la contraddizione di un conflitto che non conosce tregua. Da un lato, l’offensiva israeliana accelera per isolare e neutralizzare Hamas; dall’altro, l’apertura a una tregua di 60 giorni suggerisce che, nonostante la devastazione, resti uno spiraglio per evitare ulteriori stragi.
Il confine tra resistenza e annientamento si fa sempre più labile, e a pagarne il prezzo più alto è la popolazione civile: costretta alla fuga, privata di tutto, sospesa tra la violenza delle armi e l’indifferenza del mondo. In questo scenario, la speranza di una pace duratura appare lontana, ma ancora possibile se le diplomazie riusciranno a prevalere sulle logiche militari.
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