Utility, politica e manager: così è stato prosciugato il Paese

Profitti garantiti, tariffe sempre più alte e scarsa concorrenza: il sistema delle utility italiane ha trasformato un servizio pubblico in un meccanismo di rendite e sprechi. A pagare il conto sono famiglie e imprese, mentre la politica rinuncia al suo ruolo di controllo.
Un sistema che costa caro ai cittadini
Negli ultimi vent’anni, mentre famiglie e imprese hanno visto crescere in modo esponenziale i costi delle bollette, le utility italiane – dall’energia ai trasporti, passando per acqua, rifiuti e telecomunicazioni – hanno registrato profitti costanti. Un paradosso, perché questi guadagni non derivano dall’innovazione o dalla competizione di mercato, ma da un modello che assicura rendite garantite, indipendentemente dall’efficienza.
In un Paese in cui la crescita economica è debole e il potere d’acquisto si è ridotto, l’aumento strutturale dei costi dei servizi essenziali si traduce in un impoverimento progressivo della società.
Politica debole e governance opaca
A favorire questo sistema è stata la politica, spesso priva di competenze tecniche e incline a delegare il controllo ai manager. Una rinuncia al proprio ruolo che ha trasformato i vertici delle utility in centri di potere autonomi, più attenti agli equilibri interni e agli interessi dei partiti che alla qualità del servizio.
Le nomine dirigenziali, anziché privilegiare competenze e visione industriale, sono spesso frutto di logiche spartitorie. In questo modo il cittadino si ritrova senza un vero garante, schiacciato tra tariffe crescenti e un’offerta di servizi che non migliora.
Utility pubbliche, rendite private
Molte di queste società restano a partecipazione pubblica, ma funzionano come aziende private protette dal rischio di mercato. Gli utili sono certi, le perdite quasi inesistenti: le inefficienze non ricadono su chi gestisce, ma su chi paga.
Tariffe regolate in modo opaco, sistemi di monopolio locale e assenza di concorrenza reale hanno consolidato un meccanismo che premia l’immobilismo. In altri settori produttivi, l’inefficienza porta al fallimento; nel mondo delle utility, invece, è il cittadino a garantire la sopravvivenza del sistema.
Il conto sulle spalle dei più fragili
Le conseguenze si vedono chiaramente. Le famiglie meno abbienti pagano un prezzo sproporzionato per luce, acqua, rifiuti e trasporti. Le imprese, già appesantite dal costo del lavoro e dalla pressione fiscale, si trovano a sostenere bollette che limitano la competitività.
Il risultato è una spirale che accentua le disuguaglianze e scoraggia gli investimenti produttivi. Se l’energia e i servizi di base diventano troppo costosi, a soffrirne è l’intero tessuto economico del Paese.
Sprechi e mancate occasioni
Dietro questo meccanismo c’è anche la questione delle risorse. Fondi pubblici ed europei destinati a modernizzare infrastrutture e reti spesso si disperdono in progetti incompiuti, gestioni inefficaci o vere e proprie rendite di posizione.
Gli esempi non mancano: acquedotti colabrodo che disperdono metà dell’acqua immessa in rete, trasporti locali incapaci di rinnovare il parco mezzi, piani per la raccolta differenziata che restano sulla carta. Ogni inefficienza diventa un costo aggiuntivo per la collettività.
Il ruolo della politica che manca
La politica dovrebbe programmare, vigilare e correggere gli squilibri. Invece, troppo spesso si limita a ratificare le decisioni prese dai vertici aziendali, trasformandosi in un attore passivo.
Un ritorno a una governance seria richiederebbe trasparenza nei bilanci, nomine basate sulle competenze, concorrenza reale nei settori dove è possibile introdurla. Senza questo cambio di passo, il rischio è che le utility continuino a funzionare come “bancomat” delle amministrazioni e dei manager, anziché come motore di sviluppo e benessere collettivo.
Una sfida cruciale per il futuro
Il tema delle utility non è solo economico, ma politico e sociale. Si tratta di decidere se questi servizi debbano restare strumenti di redistribuzione e coesione sociale, oppure campi di rendite e privilegi.
Recuperare la missione pubblica delle utility significa ridare ossigeno a famiglie e imprese, garantire equità, ridurre sprechi e costruire infrastrutture moderne. In caso contrario, il rischio è di continuare a “prosciugare” il Paese, privandolo delle energie necessarie per crescere.
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