🌐 UE multa X di Musk: 120 milioni per violazione della trasparenza
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ToggleL’Unione Europea infligge una sanzione di 120 milioni di euro a X — la prima in assoluto ai sensi del Digital Services Act (DSA) — per uso ingannevole del “blue check”, opacità nella pubblicità e rifiuto di accesso ai dati pubblici da parte dei ricercatori. La multa segna una svolta nella regolamentazione del mondo digitale e accende tensioni con Washington per presunti attacchi alle libertà di espressione.
La Commissione europea ha deciso di infliggere a X, la piattaforma social di Elon Musk (ex Twitter), una multa da 120 milioni di euro. Si tratta della prima sanzione decisa ai sensi del Digital Services Act, la normativa dell’Unione pensata per imporre maggiore trasparenza e responsabilità alle grandi piattaforme online.
📌 Il provvedimento arriva dopo quasi due anni di indagine, durante i quali i regolatori dell’Ue hanno valutato le pratiche di X fino a riscontrare gravi violazioni: un “design ingannevole” del sistema di verifica con “spunta blu”, opacità sui meccanismi pubblicitari e l’impossibilità per i ricercatori di accedere ai dati pubblici della piattaforma.
Una sanzione simbolo
Secondo la decisione dell’Unione, le violazioni contestate a X riguardano tre ambiti principali:
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Spunta blu venduta a pagamento — Finora, la “blue checkmark” rappresentava una garanzia di autenticità dell’account: adesso chiunque può acquistare la verifica, senza che venga concretamente accertata l’identità. Questo «design ingannevole» può indurre gli utenti a ritenere reali e ufficiali profili che non lo sono. Per questa violazione la Commissione ha comminato una sanzione di 45 milioni di euro.
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Opacità nella pubblicità — X non ha rispettato l’obbligo di rendere trasparente il proprio archivio pubblicitario: non sono disponibili informazioni accessibili su chi paga le inserzioni, a chi sono rivolte e in che modo vengono targettizzate. Questa mancanza rende difficile verificare campagne ingannevoli, truffe o manipolazioni, anche in periodi sensibili come le campagne elettorali. L’infrazione è stata valutata 35 milioni di euro.
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Negato accesso ai dati pubblici per i ricercatori — Il DSA impone alle piattaforme di garantire un accesso ragionevole ai dati pubblici (come visualizzazioni, like, metadati) a studiosi e analisti. X invece ha imposto barriere tecniche tali da rendere impraticabile la ricerca indipendente, limitando lo studio di fenomeni come disinformazione, polarizzazione e impatto sociale dei social media. Su questo la Commissione ha applicato una sanzione di 40 milioni di euro.
Nel complesso, la sanzione ammonta a 120 milioni di euro — ben al di sotto del massimo del 6% del giro d’affari globale che il DSA permette, ma considerata “simbolica” da molti osservatori: abbastanza per dimostrare che le regole europee non sono carta straccia, ma non sufficiente da mettere in ginocchio un gigante del web.
Una multa storica
🔎 La decisione dell’Ue rappresenta un momento spartiacque nella regolamentazione della rete. Il DSA — approvato alcuni anni fa — era stato spesso invocato come la risposta europea al “Far West” digitale: ma fino ad oggi nessuna piattaforma tecnologica di rilievo era mai stata multata. Con X arriva la prima, e inaugura un percorso potenzialmente molto più vasto.
Il provvedimento mette in chiaro che regole e trasparenza non sono facoltative per chi opera nel mercato europeo: che si tratti di una grande multinazionale statunitense o di una startup, gli obblighi di trasparenza, informazione e tutela degli utenti valgono per tutti. Come sottolineato da una portavoce della Commissione: «Deceiving users with blue checkmarks, obscuring information on ads and shutting out researchers have no place online in the EU».
In questo senso, la multa — oltre che una sanzione economica — rappresenta un precedente. Un promemoria concreto per tutte le piattaforme: il DSA non è pura teoria, ma una legge da far rispettare.
Bruxelles contro Washington
La decisione non poteva che provocare reazioni dal mondo politico — soprattutto a Washington, dove l’acquisto di X da parte di Musk aveva già acceso polemiche sul controllo dei contenuti e sulla libertà di espressione.
Prima dell’annuncio ufficiale, esponenti dell’amministrazione americana avevano espresso forte disapprovazione: il vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, e il segretario di Stato Marco Rubio hanno bollato la multa come un attacco «al popolo americano» e alle piattaforme tecnologiche statunitensi.
Dal canto suo, l’Ue — attraverso la commissaria digitale Henna Virkkunen — ha respinto le accuse di censura, affermando che la sanzione riguarda esclusivamente trasparenza e tutela degli utenti, non contenuti o opinioni. «Le nostre regole valgono per tutti», ha ribadito, segnando la determinazione di Bruxelles a far rispettare il DSA.
Un quadro di pressioni e attese
Per capire l’importanza di questa sanzione, bisogna tornare indietro a quando X — dopo l’acquisto da parte di Musk nel 2022 — ha iniziato a trasformarsi radicalmente. Tra le modifiche più discusse c’era l’introduzione del “blue check” a pagamento: un simbolo che prima era riservato a personaggi pubblici, ma che col nuovo modello poteva essere acquistato da chiunque.
Per molti osservatori è stata un’apertura a impersonificazioni, aumentata visibilità per account poco credibili, amplificazione di disinformazione e un incentivo per bot o profili ingannevoli.
L’adozione del DSA — con regole chiare sulla trasparenza, sugli archivi pubblicitari e sull’accesso ai dati — nasceva proprio per arginare questi rischi. Ma per anni le piattaforme che avrebbero dovuto adeguarsi si sono mosse con riluttanza, nel timore di perdere utenti o ricavi.
Con la multa a X, l’Ue manda un segnale netto: basta ritardi, basta tatticismi. Regole rispettate o costi concreti.
Le reazioni del mondo politico, economico e accademico
In Europa la decisione è stata accolta da molti con sollievo: alcuni eurodeputati — che da mesi chiedevano interventi più decisi sulle piattaforme — hanno definito la multa una “prima, necessaria risposta”. “Non basta una multa”, ha detto qualcuno: “serve anche trasparenza reale sugli algoritmi e moderazione seria dei contenuti”.
Nel mondo accademico, la sanzione è vista come un’opportunità: l’obbligo di rendere accessibili i dati pubblici potrebbe finalmente consentire studi indipendenti sull’uso dei social, la disinformazione, l’impatto politico e sociale delle piattaforme. Finora, la chiusura di X aveva ostacolato molte ricerche in ambito europeo.
Dal lato delle aziende tecnologiche, invece, la multa è un campanello d’allarme: se X — grande, internazionale, guidata da una figura potente — ha dovuto pagare, nessun operatore può considerarsi al riparo. La compliance non è un optional: deve diventare parte integrante del modello di business.
Quel che resta dell’inchiesta
X ha ora 60 giorni per presentare un piano che corregga le violazioni relative al sistema di verifica con spunta blu, e 90 giorni per proporre misure che garantiscano la trasparenza sull’advertising e l’accesso ai dati per i ricercatori. In caso contrario, rischia sanzioni aggiuntive — fino a un tetto del 6% sul fatturato globale.
Ma la sanzione odierna riguarda solo la trasparenza: restano aperte altre indagini complessive, in particolare quelle su contenuti illegali, manipolazione dell’informazione, hate speech, disinformazione politica. È probabile che nei prossimi mesi l’Ue decida nuove decisioni contro X — e forse anche contro altre piattaforme.
Per gli utenti, la multa potrebbe tradursi in:
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un uso più responsabile e trasparente della piattaforma da parte di X;
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un miglior accesso a informazioni su annunci e sponsorizzazioni;
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maggiori garanzie sulla verifica dell’identità degli account verificati;
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la possibilità, grazie ai dati aperti, che studiosi e organismi civici monitorino meglio fenomeni come disinformazione e manipolazione.
In prospettiva, la decisione di oggi potrebbe segnare l’inizio di una nuova era digitale in Europa — meno anarchica, più regolamentata, più consapevole.
La sanzione di 120 milioni di euro a X non è un colpo da knock‑out. Ma è un segnale chiaro: l’Europa non farà sconti. Le regole del digitale — trasparenza, responsabilità, tutela degli utenti — non sono opzionali.
Con questa decisione, l’Ue lancia un messaggio forte a tutte le Big Tech: chi vuole operare in Europa deve rispettare le leggi.
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