11:31 am, 17 Ottobre 25 calendario

Accordo della maggioranza sul contributo delle banche

Di: Redazione Metrotoday
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La «tassazione volontaria» sugli utili accantonati che chiude la manovra
La maggioranza ha trovato un punto di equilibrio sul capitolo più spinoso della manovra: il contributo chiesto al settore bancario e assicurativo. Dopo notti di trattative tra palazzo Chigi, i leader dei partiti e i rappresentanti del mondo finanziario, la soluzione concordata prevede un meccanismo che sposta il baricentro dalla tassazione d’emergenza — il cosiddetto “windfall tax” sugli extraprofitti — verso un’opzione negoziata e fiscalmente incentivata. In termini concreti, gli istituti saranno chiamati a sbloccare utili messi a riserva pagando un’imposta agevolata attorno al 27,5% (in luogo del 40% previsto in alcuni scenari precedenti) — una soglia che dovrebbe fruttare nelle casse dello Stato oltre 4 miliardi di euro per il 2026, con obiettivi pluriennali che superano i 10 miliardi nei tre anni successivi.

Si tratta di una mediazione politica che tenta di conciliare la volontà del governo di reperire risorse per finanziare la riduzione delle aliquote IRPEF del prossimo anno con la necessità di non destabilizzare un settore considerato strategico per la stabilità finanziaria nazionale. Ma la formula, definita da esponenti di governo come «volontaria ma fiscalmente strutturata», apre una serie di interrogativi tecnici, legali e politici che rischiano di trasformare una vittoria di posizione in una partita lunga e incerta.

L’accordo stabilisce una doppia via per ottenere gettito dal mondo bancario: da un lato la possibilità per gli istituti di “sbloccare” gli utili accantonati a patrimonio — quei profitti che erano stati rinviati in bilancio lo scorso anno per evitare la tassazione sugli extraprofitti — versando un’imposta unica più bassa rispetto al 2023; dall’altro, la facoltà di distribuire dividendi con una tassazione agevolata (attorno al 26–27,5%) rispetto alle aliquote più severe ipotizzate nelle fasi più acute del confronto politico.

Il meccanismo si presenta dunque come una scelta di politica contrattata: le banche potranno decidere se mantenere gli utili a riserva o distribuirli pagando una tassa facilitata. Lo Stato, invece di imporre un prelievo obbligatorio e lineare su tutti gli istituti, punta a raccogliere risorse incentivando la scelta di distribuire o sbloccare, e alleggerendo al contempo il colpo fiscale mediante un’aliquota più moderata. Tecnicamente si tratta di una norma che estende o modifica disposizioni entrate in vigore l’anno precedente e che riguarda la gestione delle riserve, i criteri di deducibilità e il trattamento fiscale dei dividendi.


Nel governo la spaccatura era netta: da una parte la linea più dura — sostenuta da chi invocava un prelievo sugli extraprofitti a titolo di solidarietà e di riequilibrio sociale — e dall’altra la posizione più prudente, preoccupata per gli effetti sul credito, sulla capitalizzazione degli istituti e sui mercati. Forza Italia e alcuni esponenti del centrodestra moderato avevano manifestato un forte scetticismo verso una stangata generalizzata, definita rischiosa per la stabilità degli istituti e per la reputazione del Paese presso gli investitori internazionali.

La mediazione mira a conciliare tre esigenze: reperire risorse per misure socialmente percepibili (taglio delle tasse alle fasce medie, sostegni mirati), evitare tensioni finanziarie e preservare i rapporti con l’Unione Europea sul fronte del rispetto dei vincoli di bilancio. Sul piano politico, poi, l’accordo offre alla maggioranza la possibilità di presentare una manovra che incassa e contemporaneamente evita la contrapposizione frontale con il circuito bancario nazionale, che in passato aveva dimostrato di avere importanti leve di pressione.

Impatti economici e reazioni del mercato
L’annuncio ha prodotto reazioni miste sui mercati: i titoli bancari avevano già scontato nei giorni precedenti la possibilità di un prelievo pesante; la conferma di una soluzione negoziata ha contenuto perdite e in alcuni casi generato recuperi marginali. Tuttavia, gli analisti avvertono che l’effettivo impatto dipenderà molto dall’adesione degli istituti all’opzione proposta e dalle modalità operative.

Per le banche, la scelta tra sbloccare utili o mantenerli a patrimonio è legata a valutazioni finanziarie complesse: rafforzare il capitale per far fronte a shock, mantenere riserve per eventuali future svalutazioni, oppure distribuire dividendi per attrarre investitori e soddisfare i soci. Inoltre, la riduzione dell’aliquota agevolata rispetto a scenari peggiori non elimina, per molti istituti, la percezione di incertezza normativa: conoscere una norma oggi non significa sapere come sarà applicata domani.

Dal lato del credito, l’attenuazione di una possibile tassa d’urto riduce il rischio che le banche rivedano le politiche di erogazione dei prestiti — almeno nel breve termine — ma resta il nodo della fiducia: se le misure verranno percepite come il risultato di una politica fiscale “ad personam” o ciclica, le ricadute sulla valutazione del rischio Paese potrebbero farsi sentire.

Profili giuridici e contenziosi possibili
La formula negoziata non è esente da rischi legali. Alcuni osservatori ricordano che interventi analoghi in passato sono stati seguiti da contenziosi, soprattutto quando la norma ha lasciato margini di discrezionalità amministrativa. In questo caso la distinzione tra «tassazione volontaria» e qualsiasi forma di imposizione obbligatoria potrà essere vagliata dagli istituti — e dalle associazioni di categoria — attraverso ricorsi o richieste di chiarimento all’Agenzia delle Entrate e alla Corte costituzionale.

Un tema cruciale sarà la definizione tecnica di «utili accantonati» e dei criteri temporali applicabili: quali esercizi sono interessati, quali condizioni per l’accesso alla tassazione agevolata, e come si coordineranno le norme con i principi contabili internazionali. Le banche potrebbero chiedere misure compensative — ad esempio, rimborsi IRAP o altre forme di credito d’imposta — per mitigare la perdita di potenziale capitale.

Il precedente del 2023 e la “paura” degli extraprofitti
Il confronto politico porta alle spalle il ricordo delle misure perseguite nel 2023, quando fu introdotta una tassazione sugli extraprofitti che colpì settore bancario e energetico. Da allora molte banche avevano messo a riserva una parte dei profitti proprio per evitare un prelievo automatico: l’operazione concordata ora con la maggioranza recupera quella logica ammorbidendola, ma senza cancellarne la matrice. La politica tenta così di trasformare una aulea emergenza fiscale in un meccanismo strutturale, meno traumatico per il sistema, ma potenzialmente più duraturo.

Politica e immagine pubblica
Per il governo l’accordo rappresenta anche una scelta narrativa: evitare la fotografia del governo che «stangna» il settore bancario e, al tempo stesso, dare prova di capacità di raccolta risorse. L’idea è mostrare ai cittadini — soprattutto alle fasce mediane che beneficeranno della riduzione IRPEF — che la manovra trova risorse anche là dove il sistema ha registrato profitti significativi. Sul piano elettorale, dunque, l’operazione serve a spedire un messaggio di equità senza rallentare la ripresa economica.

Se il contributo sarà percepito come «volontario» e poco stringente, il consenso potrebbe non arrivare. Viceversa, una apparenza di trattativa sottobanco tra governo e grandi banche rischierebbe di suscitare malumori nell’elettorato che attende riduzioni fiscali concrete.

Molte questioni tecniche attendono ora la stesura finale del testo: la data di efficacia, la platea precisa degli istituti coinvolti (banche domestiche, filiali estere, assicurazioni), i meccanismi di controllo sulla destinazione dei fondi, e eventuali clausole anti-elusione. Sarà inoltre importante capire come Bruxelles guarderà alla misura, soprattutto in un momento di dialogo teso sui conti pubblici e sull’equilibrio delle regole europee.


L’intesa raggiunta sulla tassazione degli utili accantonati e sul contributo delle banche è il risultato di una formula politica pragmatica, che prova a scaricare la tensione di un confronto potenzialmente dannoso per il sistema finanziario. È una soluzione che privilegia il compromesso e la continuità, ma lascia aperti dubbi rilevanti: sull’efficacia delle entrate promesse, sull’effettiva adesione degli istituti, sui rischi di contenziosi e soprattutto sulla capacità di trasformare un ricavo puntuale in una politica fiscale coerente e percepita come equa.

La partita non si chiude con la firma della norma: gli effetti reali emergeranno nei bilanci del 2026, nelle decisioni distributive delle banche, nella reazione dei mercati e nella valutazione politica degli elettori. Per ora, la maggioranza si presenta compatta davanti al Paese con un accordo che tenta di coniugare crescita, stabilità e giustizia fiscale.

17 Ottobre 2025
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