Francesco ‘Sandokan’ Schiavone, boss dei Casalesi si pente
Francesco ‘Sandokan’ Schiavone, capostipite dell’egemonica consorteria Casalesi, ha optato, post 26 anni di reclusione, per un’inaspettata sinergia con le autorità giuridiche. Questa svolta, preannunciata dalle colonne del quotidiano Cronache di Caserta e avvalorata da fonti territoriali a LaPresse, segna il suo ‘redento’ cammino, già percorso dai suoi eredi, Nicola (incarcerato dal 2010, convertitosi nel 2018) e Walter (ally della giustizia dal 2021). Da un lasso di tempo non indifferente, il prelato della famiglia casertana combatte contro un male incurabile, che di recente lo ha visto trasferito nella dimora penitenziaria de L’Aquila. Divenuto il secondo patriarca dei Casalesi a ricercare redenzione, segue le orme di Antonio Iovine, noto come ‘o ninno, che ha infranto il silenzio con i magistrati nel 2014.
L’avveduto sindaco di Casal di Principe, Renato Natale, ha espresso soddisfazione per l’epilogo di Schiavone, agognando che il suo pentimento possa dissolvere le ombre di un’epoca tenebrosa e illuminare gli angoli ancora celati, potenziali minacce per la collettività, l’economia e le fondamenta istituzionali, ha riferito a LaPresse.
Il comitato Don Diana ha salutato la trasformazione di Schiavone in agente di giustizia come un trionfo per coloro che hanno sempre osteggiato la camorra con fede incrollabile. La coincidenza di questa rivelazione con il trentennale dalla dipartita di don Peppe Diana ne accresce il significato, emergendo come un baluardo per la gioventù, per gli inesaurienti, per gli incorruttibili. La speranza è che questa alleanza con la giustizia possa far luce su misteri ancora irrisolti di questo territorio e onorare le innumerevoli vite perdute, restituendo ciò che è stato ingiustamente sottratto alla comunità. Così ha pronunciato Salvatore Cuoci, presidente del comitato Don Peppe Diana, condividendo con LaPresse la sua visione sulla scelta di Schiavone di intraprendere la via della collaborazione giudiziaria dopo un quarto di secolo di detenzione.
Fonte e foto LaPresse
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